Malgrado le proibizioni contenute nel Vangelo e duramente reiterate da teologi quali Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino, una vena millenaristica percorre il Medioevo occidentale, nello sforzo di prevedere la fisionomia dei tempi a venire, prefigurando un tempo di pace sulla terra prima del giudizio finale.
Una singolare pagina della cultura ecclesiastica e laica dell’epoca è data dalla ricezione delle profezie, diffuse in scritti ma anche oralmente, in un numero sinora insospettato di testimonianze. Esse circolavano con attribuzioni pseudonime alle più famose autorità del profetismo medievale, a cominciare da Gioacchino da Fiore, oppure con vere e proprie invenzioni di nuovi profeti e visionari, allo scopo di rendere credibile un mondo di attese, rivolte a comprendere passato e presente e a tentare di prevedere il futuro.
Tra gli eredi dell’abate di Fiore emergono le figure di due frati dell’Ordine dei Minori, il provenzale Pietro di Giovanni Olivi, cui si rifecero i Beghini di Linguadoca e di Catalogna, e Giovanni da Rupescissa, ai cui testi ricorrevano quanti cercarono di fare della profezia una sorta di scienza del calcolo di avvenimenti futuri.
Traduzione di Valentina Rusconi