Un terremoto non è unicamente un evento naturale. È anche un fatto sociale e quindi è un fatto politico. Esso non solo distrugge abitazioni, uffici pubblici, monumenti, fabbriche, botteghe e quant’altro. Scompagina in profondità la vita associata. Gli esseri umani da esso investiti possono essere privati di tutto: del tetto che li ripara, del luogo in cui lavorano, del reddito di cui dispongono, della stessa trama di rapporti sociali che li avviluppa.
Per queste ragioni un terremoto, e la ricostruzione che ne consegue, sono fatti politici: fatti da governare, che costituiscono opportunità di arricchimento per alcuni, d’impoverimento per altri, occasioni per guadagnare o per perdere consenso, per risvegliare la coscienza comune della collettività o per disperderla definitivamente. È perciò inevitabile che a tali fatti si accompagnino conflitti di interessi, divergenze d’opinioni, opzioni di valore alternative.
Il terremoto che nel 2009 ha colpito L’Aquila e i comuni che la circondano non fa eccezione. Questo libro intende approfondire questi aspetti. Com’è stato governato il terremoto? E come si seguita a governare una ricostruzione che, a dispetto del frastuono mediatico suscitato attorno ad essa, a due anni dal sisma stenta ancora drammaticamente a decollare?