Nel corso del medioevo l’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei era fondamentalmente negativo e si esprimeva anche attraverso le opere di una letteratura antiebraica, al cui interno spiccavano i testi di un monaco cluniacense, l’abate Pietro il Venerabile, e di un convertito spagnolo, Pietro Alfonsi. Gioacchino da Fiore conosceva questi testi, elaborando dal canto suo una posizione del tutto differente. Egli non si rivolgeva agli ebrei per convertirli, ma ai cristiani, per convincerli che con l’incarnazione di Gesù la storia del popolo di Israele non era finita: nel futuro degli ultimi tempi della storia, che secondo l’abate si stava avvicinando nei giorni in cui egli scriveva, gli ebrei e i gentili si sarebbero riuniti in un unico popolo di credenti.
Questa visione, che non trovava precedenti né ebbe seguito, fu affidata a un testo in cui Gioacchino da Fiore accumulava e commentava ampiamente brani delle Scritture sacre degli israeliti – il Vecchio Testamento dei cristiani –, trovandovi la conferma della dottrina della Trinità e la prefigurazione dell’avvento del Messia nella persona del Cristo. In tutto questo egli affidava a se stesso un ruolo analogo a quello del profeta Elia e indirizzava ai suoi ascoltatori una Esortazione a prepararsi ad accogliere insieme ebrei e cristiani alla fine della storia umana.
A cura di Roberto Rusconi
Testo critico e introduzione di Alexander Patschovsky
Il testo latino riproduce quello dell’edizione critica: Ioachim abbas Florensis, Exhortatorium Iudeorum, a cura di A. Patschovsky, Roma 2006 (Ioachim abbas Florensis, Opera omnia, curantibus R.E. Lerner, A. Patschovsky, G.L. Potestà, R. Rusconi, K.-V. Selge, IV, Opera minora, 3, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 26).
L’Introduzione di A. Patschovsky è stata tradotta da Massimo Palma.
L’Exhortatorium Iudeorum è stato tradotto da Fabio Troncarelli.