La ponha d’amor e la cadena: ferite e catene trobadoriche
tra Jaufre Rudel, Raimbaut d’Aurenga e Bertran de Born
A partire dal testo di Raimbaut d’Aurenga Un vers farai de tal
mena [BdT 389,41], si esamina il percorso lirico di due temi centrali
del trobar, ossia la ferita e la catena d’amore. In particolare, ci
si sofferma sulle due liriche di Jaufre Rudel Non sap chantar qui so
non di [BdT 262,3] e Quan lo rius de la fontana [BdT 262,5] – probabili
precedenti in termini espressivi della ferita amorosa rambaldiana
–, e si riscontra nella ponha d’amor rudelliana una forte vicinanza
con la compunctio amoris di Gregorio Magno. Nel motivo
della cadena amorosa, e nella corrispondente presenza di rimanti
comuni, la lirica rambaldiana Un vers farai de tal mena sembra invece
legarsi al testo Amics Bernartz de Ventadorn [BdT 323,4 ~
70,2], una tenso tra Bernardo di Ventadorn e Peire, molto probabilmente
da identificare, come sostenuto dalla letteratura critica
precedente, con Peire d’Alvernhe. Entrambe, sia la rambaldiana Un
vers farai de tal mena che la tenso Amics Bernartz de Ventadorn,
sono poi congiuntamente riprese nella lirica di Bertran de Born Casutz
sui de mal en pena [BdT 80,9] attraverso il riuso di rimanti e
richiami lessicali e sintagmatici ai due testi. Nella lirica in questione,
Bertran de Born sembra in particolare concordare con la lirica
rambaldiana Un vers farai de tal mena e invece contrapporsi alla
“rinuncia” bernardiana all’amore contenuta nella tenso Amics Bernartz
de Ventadorn: tali riprese bertrandiane sembrano dunque
funzionali all’affermazione di un amore inalterabile.
Two key themes of Troubadour poetry – love’s wound and
love’s chain – are addressed in this article, moving from the text by
Raimbaut d’Aurenga Un vers farai de tal mena [BdT 389,41]. Possible
antecedents of his theme of love’s wound are traced to Jaufre
Rudel’s poems Non sap chantar qui so non di [BdT 262,3] and Quan
lo rius de la fontana [BdT 262,5]; moreover, Rudel’s ponha d’amor
appears to be close to the compunctio amoris of Gregorio Magno.
The theme of love’s chain, supported by textual references,
links Raimbaut’s poem Un vers farai de tal mena to the text Amics
Bernartz de Ventadorn [BdT 323,4 ~ 70,2], a tenso between Bernart
de Ventadorn and Peire – an author usually identified with
Peire d’Alvernhe. Textual references to both Raimbaut’s Un vers
farai de tal mena and to the tenso Amics Bernartz de Ventadorn,
are then present in the poem by Bertran de Born Casutz sui de mal
en pena [BdT 80,9]. In this lyric, Bertran de Born seems to agree
with Raimbaut’s Un vers farai de tal mena and disagree with Bernart’s
“giving up on love” expressed in the tenso Amics Bernartz
de Ventadorn. This double textual reference in Bertran’s lyric
seems therefore finalised to affirm the immutability of love.
Per l'edizione di Alegret : nodi stilistici e intertestuali
Riccardo Viel
Per l’edizione critica di Alegret: nodi stilistici e intertestuali
Il saggio si propone d’indagare la posizione di Alegret nel panorama
letterario delle prime generazioni della lirica trobadorica. Nella
prima parte si prendono in esame alcuni richiami intertestuali e interdialogici
tra il nostro poeta e i corpora di Peire d’Alvernhe e di
Marcabru; nella seconda parte si propongono alcune linee interpretative
della poetica di Alegret che inducono a riformularne i tratti peculiari.
In conclusione, le figure di Alegret e di Peire d’Alvernhe risultano
accomunate da legami intertestuali e da una simile attitudine
stilistica, già proiettata ben oltre gli stilemi marcabruniani.
The paper aims at examining Alegret’s role in the literary context
of the earlier troubadours. In the first part we examine some
inter-textual and inter-dialogical elements linking Alegret, Peire
d’Alvernhe and Marcabru’s poetry; in the second part we interpret
Alegret’s poetics suggesting a reformulation of its distinctive features. Finally, we show how Alegret and Peire d’Alvernhe are related
through intertextual links and a similar style, which seems to
have already internalized and overtaken Marcabru’s lesson.
Purgatorio, XI canto : Buona Ramogna
Prospero Trigona
Purgatorio, XI Canto: «Buona Ramogna»
L’articolo analizza il sintagma “Buona ramogna” di Pg 11, 25,
interpretato dalla maggior parte dei commentatori come espressione
genericamente augurale. L’Autore, invece, riconduce il sintagma
all’etimo francese ramon = scopa e ramonner = spazzare e interpreta
la metafora della scopa pulitrice come preghiera, espressa
per bocca delle anime espianti, a favore della purgazione dei morti
e della purezza dei vivi.
The article analyses the phrase “Buona ramogna” in Purgatory,
11,25, which is interpreted by most commentators as a generic
expression of good wishes. This author, on the contrary, links
the phrase with the French etymon “ramon”, meaning a broom and
“ramonner”, to sweep. He interprets the metaphor of the cleansing
broom as prayer: the Purgatory souls say this prayer for the redemption
of the dead and the purity of the living.
Filologia d'autorità
Paolo Cherchi
Filologia d’autorità
Analisi delle melodie delle albe provenzali Reis glorios di
Guiraut de Bornelh e S’anc fui belha ni prezada di Cadenet confrontate
con le relative strutture metriche e sintattiche. Si rileva come
tali liriche possano essere rielaborazioni di un modello strutturale
più antico. L’analisi comparata con alcuni canti liturgici invita
a ripensare alcune teorie sull’origine “popolare” del genere “alba”.
Il contributo analizza come nella storia della filologia umanistico-
rinascimentale il concetto di autorità fosse fatto derivare dalla
tradizione. Con esempi tratti da Bodin, da Garzoni e da altri autori, si
mostra come, nella prassi del commento ai testi, l’applicazione del
metodo della “concordanza delle storie” abbia rafforzato nel tempo
l’autorità attribuita agli antichi, contribuendo a consolidare e a diffondere
interpretazioni fondate sull’accumulazione di dati esclusivamente
libreschi, mai verificati sotto il profilo del loro storicità.
This article analyses the way in which the concept of authority,
in Renaissance humanist philology, is derived from tradition.
Using examples drawn from Bodin, Garzoni and others, it shows
how the method of the ‘concordance of histories’, applied to the
praxis of commentary on the texts, in the course of time reinforced
the authority ascribed to the ancients and contributed to the consolidation
and diffusion of interpretations founded exclusively on
literary data, the facts of which were never verified in the light of
authentic history.
Una variante evangelica
Andrea Scala
Una variante “evangelica”
Per il celebre paradosso evangelico secondo cui sarebbe più
facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un
ricco entrare nel regno dei cieli (Mt. 19,24; Mc. 10,25; Lc. 18,25),
numerose testimonianze antiche e medievali, appartenenti ad aree
culturali e linguistiche differenti, attestano l’esistenza di una variante,
testuale o interpretativa, kaémilon “gomena, grossa fune” rispetto
a kaémhlon “cammello”. Tale variante compare anche nella
traduzione francese della Bibbia approntata da Pierre Robert
(1506-1538), detto Olivetano, ad uso delle comunità valdesi. La
fonte di tale variante sembra da identificare nelle note del Nuovo
Testamento erasmiano.
With reference to the famous paradox in the Gospel according
to which it would be easier for a camel to pass through the eye of a
needle than for a rich man to enter the Kingdom of Heaven
(Matt.19,24, Mark 10,25, Luke 18,25), there are numerous ancient
and medieval sources in different languages and cultures that put
forward an alternative textual and interpretative reading: kaémilon
“a hawser or thick rope” as opposed to kaémhlon, “a camel”. This
variant reading appears in the French translation of the Bible
executed by Pierre Robert (1506-1538), known as the Olivetano,
for the Waldensian community. This variation seems to have originated
in the notes to the New Testament by Erasmus.
Il dibattito sulla lingua e la cultura letteraria e artistica del primo Rinascimento romano : uno studio del ms Vaticano Reg. lat. 1370
Nadia Cannata Salamone
Il dibattito sulla lingua e la cultura letteraria e artistica del primo
Rinascimento romano. Uno studio del ms Vaticano Reg. lat. 1370
Il ms Vat. Reg. lat. 1370 conserva la Grammatichetta dell’Alberti
e il De Vulgari Eloquentia di Dante unitamente al De Situ
Iapigiae del Galateo; ad un’orazione di Antonio Turchetto per il
doge Nicolò Tron; all’orazione funebre per Giovanni degli Arnolfini
pronunciata a Bruges nell’ottobre del 1472 – che l’autrice attribuisce
a Bernardo Bembo – e al De XIV regionibus urbis Romae.
L’A. ipotizza che la copia della Grammatichetta sia di mano di
Lodovico degli Arrighi, amico di Trissino e attivo a Roma in seguito
anche come stampatore di disegni e altre opere di rilievo per la
cultura artistica del primo Rinascimento romano; che i due trattati
linguistici fossero noti a Bembo all’altezza della prima stesura delle
Prose; e che il ms reginense sia stato riunito entro il secondo decennio
del Cinquecento. Il De regionibus fu l’opera di riferimento
per Raffaello per la stesura della lettera a Leone X di cui si conserva
una copia di mano di Colocci che presenta una filigrana uguale
a quella utilizzata per Grammatichetta e De Vulgari nel Reginense.
Il piccolo manoscritto vaticano rappresenterebbe, dunque, non solo
un testimone della cultura linguistica del primo cinquecento romano,
ma anche dei suoi stretti legami con la cultura artistica coeva.
The ms Vat. Reg. lat. 1370 preserves Alberti’s Grammatichetta
and Dante’s De Vulgari Eloquentia together with Galateo’s De Situ
Iapigiae; an oration for the Venetian doge Nicolò Tron by Antonio
Turchetto; the funeral oration for Giovanni degli Arnolfini – which
the author attributes to Bernardo Bembo – delivered in Bruges in
October 1472 and the De XIV regionibus urbis Romae. The author
argues that it was Lodovico degli Arrighi – a friend of Trissino,
later also printer of drawings and texts of importance for artistic
culture in early Cinquecento Rome – who copied Alberti’s grammar;
that the two language treatises were known to Bembo when he wrote
the first draft of his Prose; and that the Vatican ms had been assembled
in its present form by the second decade of the Cinquecento.
The De regionibus was the prime reference work for Raffaello
for his letter on Roman antiquities to Leo X and an autograph
copy of the letter by Colocci was drafted on paper carrying the same
watermark as the paper used for the copies of both the Grammatichetta
and the De Vulgari contained in the Reginense. The little
manuscript represents, therefore, as well as a key document for
language studies in Rome in the early Cinquecento, a proof of their
close links with contemporary artistic culture.
Etimología de español terco
Julián Santano Moreno
Etimología de español terco
L’articolo cerca di stabilire una nuova etimologia per lo spagnolo
terco “avaro”. L’analisi è basata su quattro argomenti principali:
la base etimologica di terco è aggettiva e non verbale; questa base
aggettiva non è di origine latina, ma appartiene al sostrato di origine
indoeuropea presente nelle lingue romanze occidentali; terco oltre
che un senso morale o psicologico presenta nel Medioevo un senso
topografico; lo spagnolo terco, infine, è in rapporto stretto sia dal
punto di vista etimologico che semantico con l’italiano terchio “rozzo,
zotico, spilorcio, tirchio” e tirchio “avaro, spilorcio, taccagno”.
The article aims at establishing a new etymology for the Spanish
term “terco”, that is, “miserly”. The analysis is based on four
main arguments: the etymological basis of the term is adjectival
and not verbal; it is not of Latin origin but derives from the substratum
of Indoeuropean origin underlying all Western Romance
languages; in the Middle Ages, the word “terco” had a topographical
sense as well as a moral or psychological sense; finally the word
“terco” in Spanish has a close relationship, from both the
etymological and semantic point of view, with the Italian “terchio”,
coarse, boorish, mean, tight-fisted, and “tirchio”, miserly, tightfisted,
stingy.
In nota ai Mémoires d’outre-tombe di Chateaubriand.
Appunti filologici e letterari sul testo a piè di pagina
Una rassegna delle varianti relative alle note autoriali dei
Mémoires d’outre-tombe di Chateaubriand e una classificazione di
questi elementi paratestuali in base a forme, funzioni e temi mostrano
come le note, a dispetto della loro marginalità, condensino
gli aspetti problematici della ricostruzione testuale di quest’opera
dalla complessa genesi e pubblicazione e ne riprendano tanto le tematiche
principali quanto i tratti formali peculiari.
The article offers a review of the variants concerning the
authorial notes of Chateaubriand’s Mémoires d’outre-tombe and a
formal, functional and thematical classification of these paratextual
elements. This will prove first of all that notes, in spite of their
marginality, condense the problems connected with the textual reconstruction
of a work whose genesis and publication were particulary
complicated; secondly that they resume not only the principal
subjects of the Mémoires but also their characteristic formal aspects.
Per una fenomenologia del silenzio nel testo narrativo : Les Enfants du Limon di Raymond Queneau
Irene Zanot
Per una fenomenologia del silenzio nel testo narrativo:
Les Enfants du Limon di Raymond Queneau
Questo articolo si propone di esaminare alcune forme con cui
il silenzio viene iscritto in un testo attraverso un inedito modello di
analisi e la sua conseguente applicazione al romanzo Les Enfants
du Limon di Raymond Queneau. Fornendo significative esemplificazioni
del possibile impiego narrativo di diversi tipi di silenzio (in
particolare di quello “conversazionale”, vero fulcro di un’opera
“logocentrica” per eccellenza quale quella di Queneau), Les Enfants
du Limon rivela appieno la “polifunzionalità” di questa eccezionale
risorsa non-linguistica e la sua fondamentale importanza
“strategica” nella costruzione del discorso così come dei multipli
livelli di significato del testo.
This article examines some of the forms by means of which
silence may be inscribed in a text through a new model of analysis
and its application to Raymond Queneau’s novel Les Enfants du
Limon. Les Enfants du Limon provides significant illustrations of
the narrative use of different kinds of silence by focusing on the
“conversational silence” (the very “fulcrum” of such a “logocentric”
work as Queneau’s); thus, this novel fully reveals both the
“polifunctionality” of this extraordinary non-linguistic resource
and its fundamental “strategic importance” in the building of the
speech as well as of the multiple levels of meaning in the text.