Critica del testo. XIII/1, 2010.

Testata: Critica del testo • Anno di pubblicazione: 2010
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pp. viii+160, ISBN: 9788883344824
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Premessa
Roberto Antonelli


Metafore della solitudine nella letteratura monastica del XII secolo
Lorenzo Mainini

Metafore della solitudine nella letteratura monastica del XII secolo
La letteratura monastica del XII secolo, nel suo esercizio d’esegesi, ha arricchito l’immaginario letterario medievale di figure e simboli. Concentrandosi sul lessico della solitudine, l’articolo rintraccia la ricorrenza di alcune metafore, nate nel testo biblico, commentate dai Padri e dagli esegeti più tardi, sopravvissute infine nelle letterature volgari.

In the Twelfth Century the monastic literature, through the exegetical practice, gift the medieval literary imaginary with many symbols. Restrict to loneliness’s vocabulary, the article see into the recurrence of some metaphors, born in the Bible, explained by the Fathers and by the following exegetes, endured in the romances literatures.


Il plurilinguismo poetico e il caso di Bonifacio Calvo
Giuseppe Tavani

Il plurilinguismo poetico e il caso di Bonifacio Calvo (A proposito di Un nou sirventes ses tardar, BdT 101,17)
L’articolo riprende in esame la questione relativa alla definizione della lingua usata nella seconda cobla del noto sirventese trilingue indirizzato dal trovatore genovese da Bonifacio Calvo ad Alfonso X di Castiglia. Dopo aver esposto esaustivamente lo status quaestionis T. prende in esame i versi 7 e 8-14 del testo, offrendone una lettura critica e, considerando anche l’occasione e le modalità stilistiche ed espressive del componimento, esclude l’uso dell’aragonese (cfr. E. Blasco, 1987) e conferma il galego quale lingua in essi impiegata da Bonifacio Calvo.

The article reexamines the question of the definition of the language used in the second cobla of the well known trilingual sirventese addressed to Alfonso the Tenth of Castilla by the Genoese troubadour Bonifacio Calvo. After outlining the complet status quaestionis T. carries out a full critical analysis of verses 7 and 8-14 and, in his analysis of circumstances, style, and expression of the poem, he excludes the use of Aragonese (E. Blasco, 1987) and confirms that Galego (Old Galician language) is the language used by Bonifacio Calvo.


L’Ulysse de Dante et la modernité
Piero Boitani

L’Ulysse de Dante et la modernité
L’esame dei Diari di Victor Klemperer, dell’autobiografia di Altiero Spinelli, e delle opere di Mussolini rivela che nel XX secolo la figura dell’Ulisse di Omero e di Dante possiede un grande fascino su uomini dalle inclinazioni ideologiche e politiche opposte. È necessario quindi ritornare a Inferno XXVI e studiarlo con un occhio alla modernità. Dante ha a sua disposizione tre tradizioni riguardanti Ulisse. Le usa tutte, ma adattandole alle sue intenzioni e creando un personaggio e una storia che sono aperti al moderno. Interpreti ed esploratori dal Cinquecento in poi danno al suo Ulisse uno sviluppo nuovo, che si concretizza nell’Ottocento, sin quando Primo Levi riprende tragicamente in mano la figura nel lager di Auschwitz, riconducendoci all’inizio.

A reading of Victor Klemperer’s Diaries, of Altiero Spinelli’s autobiography, and of Mussolini’s works reveals that in the twentieth century the figure of Homer’s and Dante’s Ulysses greatly fascinates men of opposed ideological and political inclinations. It is therefore necessary to return to Inferno XXVI and study it from the point of view of modernity. Dante had at his disposal three traditions regarding Ulysses. He uses them all, but adapting them to his purpose and creating a story and a character which are open to modern ideas. Interpreters and explorers from the sixteenth century onwards gave his Ulysses a new development, which finds its supreme realization in the nineteenth century, until Primo Levi tragically reads his figure in the death camp of Auschwitz, bringing us back to the beginning.


«Così la mente mia, tutta sospesa, / mirava fissa, immobile, e attenta»: genesi e articolazioni dell’ad-miratio dantesca, (Pd. 33, 94-99)
Valentina Atturo

«Così la mente mia, tutta sospesa, / mirava fissa, immobile e attenta»: genesi e articolazioni dell’ad-miratio dantesca (Pd. 33, 94-99)
Attraverso il concetto di ad-miratio, di cui si rilevano la valenza semantica, gli usi tecnici e la contiguità con la tematica mistica della suspensio mentis, il contributo propone un’analisi della metafora dantesca dell’«ombra d’Argo» (Pd. 33, 94-99) per la quale sono riconosciuti nell’immagine di “Beatrice-uccello” (Pd. 23, 1-15) e in Riccardo di San Vittore rispettivamente l’anticipazione prospettica (-memoriale) e la più probabile fonte d’ispirazione lessicale e dottrinale.

An analysis of the Dantesque metaphor of «ombra d’Argo» (Pd. 33, 94-99) is presented here and is interpreted through the concept of ad-miratio and its semantic value, technical use and continuity with the mystic thematic of suspensio mentis. The image of “bird Beatrice” (Pd. 23, 1-15) and Richard St. Victor represent respectively the perspective (-memorial) anticipation and the most likely lexical and doctrinal source of inspiration.


I garofani audaci e sfortunati di Quevedo
Prospero Trigona

I garofani audaci e sfortunati di Quevedo
Questo scritto legge un sonetto d’amore di F. de Quevedo tenendo in considerazione e discutendo le interpretazioni tradizionali, ma ponendo particolare attenzione al suo sviluppo straordinariamente simmetrico. All’interno della tradizione petrarchista, questo sonetto costituisce una notevole variante: non ci sono pene d’amore, ma aggressione e sconfitta. L’analisi esplora la ricca elaborazione quevediana di campi semantici diversi, da quello psicologico a quello religioso a quello civile, e conclude sottolineando il trionfo di un gioco barocco in cui non è l’Amore che uccide ma la Bellezza.

This essay reads one of Quevedo’s love sonnets discussing traditional interpretations, but taking into a particular consideration the extraordinary symmetry of its development. In the Petrarchan tradition, this sonnet results in an important variant: there are not love’s labours but aggression and defeat. The analysis explores Quevedo’s rich elaboration of different semantic areas: from the psychological one to the religious one to the civil one, and concludes underlining the triumph of a baroque game in which, out of tradition, there is not death for love. The killer is not Love but Beauty.