Recensioni

Come si scrive oggi una Storia d'Italia

Recensione di Simonetta Fiori, la Repubblica, 20 ottobre 2012

È possibile oggi scrivere una storia d' Italia? E in che modo andrebbe ripensata, dopo le profonde rotture storiche e culturali degli ultimi decenni? Il tema, ambiziosissimo, viene lanciato dalla rivista Storica, che ha raccolto a Trento presso la Fondazione Kessler diretta da Paolo Pombeni un nutrito parterre di studiosi, da Daniele Menozzi ad Andrea Graziosi, da Marco Meriggi a Ottavia Niccoli, da Angela Groppi a Sandro Carocci. «Le ultime grandi storie d' Italia risalgono agli anni Settanta del secolo scorso», spiega Franco Benigno, storico dell' età moderna e ispiratore del convegno insieme al medievista Igor Mineo. «Vengono in mente il progetto einaudiano completato in quel decennio e la coeva impresa di Giuseppe Galasso. Da allora non sono uscite nuove opere, e ci siamo domandati che cosa abbia impedito di progettarne altre». Una delle possibili spiegazioni, emersa a più riprese dalle giornate trentine, va rintracciata nell' esaurimento di un modello storiografico che ha sempre puntato su alcuni tratti distintivi della storia italiana, immaginata come un itinerario peculiare o addirittura eccezionale. Una sorta di "canone nazionale" in negativo, incline a enfatizzare l' incompiutezza o il fallimento degli avvenimenti italiani, repertorio quasi classico che è venuto il momento di abbandonare. «Oggi occorrono schemi più aperti», dice Benigno, «paradigmi capaci di leggere la costruzione dello Stato e della nazione italiani entro contesti molto più ampi». In altre parole, se è possibile ripensare una storia d' Italia, essa deve essere necessariamente in altra forma, "denazionalizzata", purgata da quelle categorie interpretative sensibili solo alle "linee interne", ai "fili rossi che tracciano all' indietro alcuni tratti considerati peculiari". Una storia dunque "depurata dall' imprinting nazionalistico", più aperta all' Europa e al mondo. Si tratta in sostanza di declinare in uno scenario allargato concetti considerati come fondanti della "specificità" italiana, dal peso del cattolicesimo al rapporto tra città e campagna, dall' importanza della famiglia al ruolo della letteratura e degli intellettuali nel nation building. Un' indicazione stimolante - su come ripensare la storia d' Italia - arriva da Daniele Menozzi, storico della Chiesa che insegna alla Scuola Normale, autore di un saggio appena uscito dal Mulino Chiesa e diritti umani: Legge naturale e modernità politica dalla Rivoluzione Francese ai nostri giorni. Se la Chiesa cattolica è stata interpretata finora dagli storici italiani o come fonte di ritardo o come fattore di propulsione della modernità, Menozzi invita a porsi in una prospettiva diversa, offerta dalla global history. «Che ruolo ha avuto per la cultura italiana l' essere stata Roma un luogo cosmopolita, lungamente al centro di una rete di contatti di respiro mondiale?». E sul versante della famiglia, tocca a Giorgia Alessi - storica dell' Università di Napoli - mettere in discussione lo stereotipo del "familismo amorale" in cui viene esemplificata la malattia italiana, per domandarsi se in realtà le varie famiglie italiane non siano attraversate da tensioni e trasformazioni assai simili a quelle che attraversano la famiglia europea. Provvede Salvatore Lupo - autore di saggi sul Mezzogiorno e sulla mafia - a demolire un altro filone aureo, di grande successo nella storiografia italiana ma non solo: quello del "doppio Stato", la tesi della persistenza di uno Stato malato, infiltrato da potenti mafie e condizionato dai servizi deviati. Un' idea un po' troppo semplicistica, rileva Lupo, richiamando come tratto comune all' Occidente il cattivo funzionamento della rappresentanza e della macchina democratica. «A vederla da oggi», dice lo studioso, «le ragioni profonde della storia repubblicana, dei suoi successi e dei suoi fallimenti, stanno meno nella storia d' Italia precedente e più nella storia mondiale contemporanea, che è la storia di paesi che hanno vissuto una difficile modernizzazione politica». Altra questione centraleè il rapporto tra politica e cultura, che negli ultimi decenni è andato sempre più appannandosi fino a sfilacciarsi del tutto. Secondo Marcello Verga, è stato anche lo smarrimento del ruolo dell' intellettuale- figura centrale nella costruzione nazionale - a contribuire alla crisi "della stessa pensabilità della storia d' Italia". Riusciranno gli intellettuali "globali" e "postnazionali" - succeduti al declino generale della compagine - a gettare uno sguardo diverso sul passato dell' Italia, senza geremiadi sulla sua eccezionalità? La discussione è appena cominciata.